Ma di lì a poco vide qualcosa di ancor più spaventoso. Fu quando Muller lo mandò a Minsk, in Bielorussia, dicendogli: "A Minsk uccidono ebrei passandoli per le armi. Voglio che Lei mi faccia un rapporto su come procedono". E così Eichmann andò, e in un primo momento parve che avesse avuto fortuna, perché quando giunse "la faccenda era quasi finita", cosa che lo consolò molto. "C'erano soltanto alcuni giovani tiratori che miravano alle teste dei morti, in una gran fossa". Però vide, "e questo fu troppo per me", una donna con le braccia legate dietro alla schiena, "e allora mi prese una debolezza alle ginocchia e me ne andai". Sulla via del ritorno, gli venne in mente di fermarsi a Lwòw. Sembrava una buona idea, perché Lwòw (o Lemberg) era stata a suo tempo una città austriaca, e quando vi giunse vide "la prima scena piacevole dopo tanti orrori": cioè "la stazione ferroviaria costruita in onore del sessantesimo anno di regno di Francesco Giuseppe" - un'epoca che egli aveva sempre "adorato" perché ne aveva sempre sentito parlare tanto bene dai suoi genitori e perché aveva anche sentito raccontare che a quel tempo i parenti della sua matrigna (quelli di origine ebraica) avevano goduto di una buona posizione sociale e si erano arricchiti. La vista della stazione ferroviaria fugò tutti i pensieri foschi, ed egli la ricordò in tutti i minimi particolari - per esempio, l'anno scolpito sulla facciata. Ma poi, proprio nella cara Lwòw, commise un grosso errore. Andò a trovare il comandante delle SS della città e gli disse: "E' proprio orribile quello che si sta facendo qui attorno; i giovani si trasformano in sadici. Come si può fare una cosa simile? Infierire su donne e bambini? E' assurdo. Il nostro popolo diverrà pazzo o malato di mente, il nostro popolo". Il guaio era che a Lwòw si stavano facendo esattamente le stesse cose che si facevano a Minsk, e il suo ospite fu lieto di potergli far vedere qualcosa, per quanto lui cercasse con buone maniere di sottrarsi. E così vide un'altra cosa "orribile": "C'era una fossa che ormai era già colma. E, dalla terra, sprizzava uno zampillo di sangue, come una fontana. Una cosa del genere non l'avevo mai vista prima. Ero stufo della mia missione, e tornai a Berlino e riferii al Gruppenfuhrer Muller".
Senonché, non era ancora finita. Sebbene Eichmann gli spiegasse di non essere "abbastanza forte" da tollerare quelle visioni, di non essere mai stato un soldato, di non essere mai stato al fronte, di non aver mai visto un'azione, di non poter dormire e di avere degli incubi, circa nove mesi più tardi Muller lo rimandò nella zona di Lublino, dove nel frattempo lo zelantissimo Globocnik aveva ultimato i suoi preparativi. E questa volta Eichmann vide una delle cose più orribili che avesse mai visto in vita sua. Il posto dove un tempo sorgevano le baracche era irriconoscibile. Guidato come la volta precedente dall'uomo dalla voce volgare, arrivò a una stazione ferroviaria su cui era scritto "Treblinka", in tutto identica a una comune stazione della Germania: stessa architettura, stesse scritte, stessi campanelli, stessi impianti: un'imitazione perfetta. "Mi tenni più indietro che potei, non mi avvicinai per vedere tutto. Tuttavia vidi come una colonna di ebrei nudi, messi in fila in una grande stanza per essere gasati. Qui vennero uccisi, come mi dissero, con una roba chiamata acido cianidrico".
- H. Arendt, La banalità del male, pp. 95-97
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