giovedì 1 aprile 2021

La sofferenza e la Legge del Karma

Si può ragionevolmente affermare che è l’uomo, non Dio, che è responsabile del male causato dai propri atti, e così l’uomo è soggetto ad essere punito per tali atti. Una visione razionale implica che il bene sia premiato e il male sia ripagato. Questa è la giustizia, e questa giustizia è il minimo che ci si aspetta nel regno di Dio. Le religioni del mondo garantiscono questa giustizia: “quello che si semina si raccoglie” è il loro motto. In India questo viene indicato come la Legge del Karma, che viene adottata da tutti i sistemi della filosofia indiana, ad eccezione del Carvaka. Al fine di affermare la validità della Legge del Karma, non è necessario presupporre l’esistenza di Dio; la Legge del Karma può essere considerata indipendente da Dio, fa parte delle norme del diritto oggettivo dell’esistenza. In realtà, il Buddhismo, il Jainismo, la Mimansa e così via lo accettano favorevolmente in questa forma; anzi lo ribadiscono ancora di più rispetto ai sistemi teistici. Il Buddhismo dichiara: “Si devono raccogliere i frutti della propria azione, buona o cattiva”.

Lo Shivaismo del Kashmir (il Tantra) riconosce la Legge del Karma, come fanno gli altri sistemi, ma l’unicità del suo approccio alla Legge del Karma consiste nella sua enfasi sulla libertà (svatantrya) dell’uomo. Abbiamo già detto che lo svåtantrya (libertà di coscienza) è il principio base dello Shivaismo del Kashmir; il sé individuale gode di questa libertà, anche se in modo limitato. Mettendo l’accento sulla libera volontà della persona, lo Shivaismo del Kashmir pone l’intera responsabilità del male sull’individuo; l’Uno, il Benigno (Shiva), è lasciato fuori da questa responsabilità. Alcuni studiosi dello Âivaismo del Kashmir possono pensare che, poiché l’intera Creazione è il gioco del Signore, il male è anche parte del Suo piano, ma come abbiamo già sottolineato, questa è una visione errata dello Shivaismo del Kashmir. Lo Shivaismo del Kashmir non può e non deve imputare il male a Shiva, che è per Sua natura molto buono e benigno.

La sofferenza, intesa dal punto di vista della Legge del Karma, viene presa in considerazione per due cose. In primo luogo, è la conseguenza della punizione per il male fatto in passato, in secondo luogo, è destinata a correggere e rieducare l’individuo. Ciò implica che la Legge del Karma non sia una legge meccanica, ma intenzionale. Quando una legge è di tipo meccanico, funziona alla cieca. Ad esempio, se metto un dito sul fuoco mi ustiono; questa è una legge meccanica. Ma la Legge del Karma non è così, ha un preciso scopo: riformare e correggere. Noi troviamo nella nostra esperienza del mondo che pochissime persone senza la sofferenza prenderebbero il sentiero giusto. La sofferenza è quanto di meglio c’è per la correzione di coloro che sono malvagi. È la sofferenza che destruttura il nostro ego e ci fa comprendere la necessità di seguire la via del bene. In questo senso la sofferenza è una grande benefattrice. Inoltre, se noi stessi non scegliessimo di migliorarci e purificarci, la sofferenza ci farebbe diventare così forzatamente e noi raggiungeremmo uno stato spirituale di coscienza migliore, degni di ricevere i doni offerti da una vita più elevata.

Se affrontiamo la sofferenza da questo punto di vista, allora Dio non apparirà come un tiranno, ma sarà disponibile a condonare la sofferenza alle Sue creature. Lo Shaiva Siddhanta (lo Shivaismo duale dell’India meridionale) vede la sofferenza come l’espressione dell’amore di Dio per le Sue creature. Proprio come una madre impone la disciplina al suo bambino al fine di correggerlo, così anche la Madre Divina sanziona con la sofferenza le Sue creature in modo tale che diventino giuste, buone e pure. Il poeta Tulasidasa utilizza quest’analogia e dice che proprio come una madre cerca di acquietare le grida impazienti del bambino facendo sì che guarisca dalla malattia, così anche il Signore allevia il suo devoto dal suo ego. Non è per niente che la creatura si confronta con il dolore e la sofferenza.

Una cosa può essere menzionata in questo contesto. La creatura deve soffrire non solo per il male fatto ma anche per il suo essere nella malvagità. Lo stato di essere è più importante dello stato di fare, in quanto il fare naturalmente deriva dall’essere. Colui che è versato nel male ed è cattivo per natura, anche se in realtà non fa alcun male, rischia di essere redarguito. La stessa presenza di una persona malvagia, anche se non sta facendo qualcosa di male, è nauseante. Allo stesso modo una persona buona, anche se non sta facendo nulla, è piacevole e desiderabile. La storia di Marta e Maria nella Bibbia si riferisce alla distinzione di cui sopra. Marta è nello stato del fare, mentre Maria è nello stato dell’essere, e Cristo preferisce Maria a Marta. Anche nello Shivaismo del Kashmir, nella gerarchia dei mezzi (upaya), shambhavopaya, che è correlato con lo stato dell’essere è posizionato più in alto di kriyopaya e anavopaya, che sono stati del fare (l’anavopaya comporta l’attività fisica ed esterna e il kriyopaya riguarda l’attività mentale e interna). Il poeta e mistico Kabir, riferendosi alla distinzione tra “fare” e “essere” dice: “Colui che fa o agisce è mio figlio (cioè, è inferiore a me), e uno che parla semplicemente è mio nipote (è ancora più inferiore a me); ma uno che vive la vita spirituale della coscienza è il mio guru; io preferisco stare con lui”.

L’argomento spesso avanzato contro la Legge del Karma e contro la Provvidenza è che ci sia nel mondo una palese violazione della legge di giustizia distributiva. Nel mondo i malvagi possono prosperare e il virtuoso può soffrire L’eminente psicoanalista Sigmund Freud, dice: “… non è una regola quella che la virtù è ricompensata e la malvagità punita, ma capita abbastanza spesso che il violento, il furbo e il senza scrupoli colga i più desiderabili beni della terra per se stesso, mentre il devoto se ne va via senza niente.” In risposta si precisa che la Legge del Karma ha una spiegazione per questa apparente discrepanza basata sulle azioni passate delle persone coinvolte. Non possiamo negare la possibilità di una simile spiegazione. Inoltre, il fenomeno dei malvagi che prosperano e del virtuoso che soffre ha bisogno di essere analizzata più a fondo e in modo più completo.

A questo proposito, vogliamo ricordare alcuni punti che sono generalmente ignorati nel presentare il dibattito di cui sopra. In primo luogo, può essere che i “cattivi” non siano tutti cattivi e i “buoni” non siano sempre buoni. In secondo luogo, il bilancio finale di dolore e di felicità può essere commisurato al grado di vizio e di virtù della persona coinvolta. Cioè, può essere che il peccatore sia temporaneamente esaltato ma poi a lungo termine debba soffrire, e il virtuoso, nel lungo periodo, trovi la pace e la felicità. Oppure può essere che, nonostante la sua apparente prosperità, la persona peccatrice abbia altri tipi di dolori e sofferenze, la prosperità materiale non è necessariamente indicativa di una vita felice e pacifica. C’è una storia di Guru Nanak che illustra che i ricchi non sono necessariamente felici. Un uomo ricco aveva raccontato confidenzialmente a Nanak che una volta la sua bella moglie si era ammalata gravemente e aveva espresso la sua paura che dopo la sua morte lui avrebbe potuto sposare un’altra donna. Al fine di assicurarla della sua fedeltà il ricco uomo si era evirato. La moglie poi era guarita, ma dato che il marito adesso era sessualmente impedito, aveva iniziato a flirtare con altri uomini. Questo aveva causato un’insopportabile agonia al marito impotente. I ricchi sono a volte le persone più miserabile sulla terra. Alcuni di loro sono inadatti per la ricerca spirituale. Anche Cristo aveva detto: “È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per un uomo ricco entrare nel Regno di Dio.”

Allo stesso modo possiamo considerare “povera” certa gente che gioisce e fa festa in un modo molto più vivace rispetto ai ricchi. Terzo, i casi in cui l’autentico virtuoso soffre e il peccatore prospera coinvolge le azioni passate, la storia passata che può risalire anche a precedenti nascite. Secondo la Legge del Karma si è tenuti a rimborsare i propri debiti e ad incassare i propri crediti. Se un uomo in seguito è diventato virtuoso, non per questo motivo le sue azioni passate saranno ignorate.

Discuteremo uno per uno i punti di cui sopra. Per quanto riguarda la questione del vizio e della virtù, non è facile stabilire chi è veramente peccatore e chi è veramente virtuoso. È solo guardando nella vita interiore di un individuo e conoscendolo intimamente per un po’ di tempo che si può veramente sapere se è buono o cattivo. Uno che da lontano sembra essere buono e virtuoso, può poi rivelarsi essere altrimenti quando si arriva a conoscerlo bene. Allo stesso modo la persona che sembra un mascalzone può avere certe virtù lodevoli e potrebbe tenere un comportamento più retto e onesto della persona cosiddetta virtuosa.

In genere ci riferiamo agli standards tradizionali della moralità riconosciuti dalla società, dalla legge divina delle scritture e dai leaders religiosi in ordine alla valutazione di ciò che viene considerato vizio o virtù. A volte giudichiamo in base al metro del nostro intelletto e della nostra coscienza. Ma nessuno di questi criteri è assoluto. La storia ha visto molti atti di sopruso e di crudeltà in nome della cosiddetta giustizia sociale e della legge divina. Le sentenze formulate sulla base della coscienza interiore, inoltre, non necessariamente sono oggettive e imparziali; ciò che viene chiamata coscienza o ragione interna può essere il risultato delle influenze (samskara) delle norme esterne che sono entrate nella nostra mente interiore. I nostri giudizi riguardo al vizio e alla virtù sulla base di tali norme possono quindi essere molto errati.

Inoltre, il virtuoso può essere affetto dall’imperfezione molto grave dell’ego. A volte l’ego dei virtuosi danneggia molto di più che il comportamento del comune peccatore. L’ego di una persona lavora in modo più sottile e rende tutte le sue virtù inefficaci. L’ego danneggia se stessi e gli altri. Ecco perché si dice che il Signore non tollera anche il più piccolo granello di ego nel Suo devoto e tende a distruggerlo. I purana sono pieni di storie che raccontano come il Signore distrugge l’ego del Suo devoto facendolo soffrire. Possiamo tranquillamente concludere che se una persona virtuosa avesse l’ego, quella persona non sarebbe affatto virtuosa; l’assenza di ego è la condizione di ogni virtù. Da questo ne discende che chi segue il Signore e il sentiero della rettitudine privo di ego non è sottoposto a sofferenze, ma se lo fa con l’ego rischia di soffrire. Infatti, se si ha ancora il proprio io in realtà non si segue il percorso del Signore.

L’intera storia del Mahabharata descrive in modo molto sottile e geniale, come ognuno sia responsabile della propria sofferenza. Questo aspetto è preso in considerazione per ogni personaggio del poema epico, e il Signore (Krishna), agisce come un esecutore imparziale della legge divina della giustizia. Molte delle storie della mitologia Indù rappresentano questa verità. Nelle storie famose della guerra tra gli dèi (deva) e i demoni (danava o asura), troviamo che il Signore interviene per aiutare gli dèi solo dopo che hanno sofferto per un pò di tempo e sono stati sottoposti ad espiazione. Il Signore non si incarna subito per proteggere le brave persone (sadhu); prima fa in modo che i sadhu soffrano per qualche tempo, in modo che le loro impurità spariscono e loro diventino veramente degni della grazia.

Operativamente il male è contraddistinto secondo due tipologie. Il primo tipo è quello che è facilmente riconoscibile in quanto immorale: furto, omicidio, stupro, disonestà, inganno, tradimento, ingratitudine e così via. Il suo contrario vorrebbe dire: rettitudine, onestà, integrità, veridicità e così via. L’altro tipo di male, che non è facilmente riconoscibile, è l’ego. Si può trovare una persona che è molto onesta, retta, e così via, ma che è allo stesso tempo molto egoica. Il male causato dall’ego infligge agli altri dolore ingiustificabile, simile al male del primo tipo. La Natura, cioè la Legge del Karma, è dunque tenuta a punire l’ego così come è destinata a punire l’immoralità. È abbastanza naturale che una persona egoista, pur rispettando le leggi della morale, debba soffrire proprio come soffre una persona immorale. Un individuo veramente buono e veramente virtuoso è colui che è libero sia dal male della immoralità che da quello dell’egoismo. Una tale persona buona non sarebbe destinata a soffrire, in quanto sarebbe contrario alla legge di Natura e alla Legge del Karma che una persona veramente buona fosse destinata a soffrire.

Così vediamo che nella maggior parte dei casi in cui i “virtuosi” si trovano a soffrire e i “peccatori” a gioire ciò può essere spiegato dal fatto che: (a) il “virtuoso” può non essere davvero virtuoso né il “peccatore” un vero peccatore, e (b) considerando il bilancio complessivo della felicità e della sofferenza, la persona “felice” può non essere veramente felice e la persona “sofferente” può davvero non soffrire più di tanto.

Ancora, ci possono essere casi in cui l’individuo è veramente buono e veramente virtuoso eppure sta soffrendo, e al contrario una persona davvero malefica può essere per il momento molto felice. Tali casi possono essere spiegati solo ricorrendo al concetto di karma passato. La maggior parte del karma viene premiato o punito nella vita corrente; un’azione “orribile” (utkata karma) potrà dare i sui effetti nella medesima nascita, mentre alcuni karma si accumulano e fruttificano nelle nascite future.

Così la teoria della Legge del Karma implica anche la teoria della rinascita. La teoria della Legge del Karma e della rinascita fa sorgere molte domande, ma non è questo il luogo per discutere di tutto ciò. Qui si può semplicemente osservare che la rinascita è un possibile fenomeno che non può essere confutato. Si tratta di una credenza tipicamente Indiana, ma altri l’hanno adottata. Gli antichi Greci credevano nella rinascita. Anche alcuni dei primi padri cristiani credevano nella teoria della rinascita, Origene, per esempio. Fu solo nei secoli successivi che la teoria della rinascita venne ufficialmente disconosciuta e scartata dalla chiesa cristiana. Oggi in Occidente c’è un crescente interesse per la teoria e il fenomeno della reincarnazione.

Per quanto riguarda la questione della sofferenza collettiva e della morte causata da eventi quali incidenti, terremoti, guerre, e così via, potremmo dire che un incidente con conseguente sofferenza collettiva è causato dal karma collettivo delle persone coinvolte. L’azione passata pronta per la fruizione (prårabdha) di ogni persona coinvolta si accumula ad un certo punto e in un certo momento e si traduce in sofferenza collettiva.

La Legge del Karma può essere trascesa. Poiché la Legge del Karma non è meccanica, ma teleologica, possiamo trascenderla e soddisfare così il suo scopo. Lo scopo della Legge del Karma è quello di purificare la persona per renderla buona. Quando diventiamo completamente buoni e puri, siamo esenti dalla pena, così come la punizione di un detenuto viene ridotta per buona condotta. Questo è ciò che si intende per “pentimento”, come menzionato nella Bibbia. Vero e sincero pentimento significa riformarsi internamente e assumere la determinazione di non commettere di nuovo il male. Pentimento significa purificazione del cuore.

L’auto-purificazione completa si realizza in una persona quando si arrende totalmente a Dio, cioè al Sé Superiore, trasformandosi completamente in sintonia con il Sé e così si riallinea alla finalità della Legge del Karma, rendendo giusto che il suo karma passato venga perdonato e distrutto. Le Upanishad dichiarano che quando si realizza il Sé trascendente, i karma della persona diventano inefficaci. Lo stato di realizzazione del Sé, lo jñana (illuminazione), è lo stato di completa auto-purificazione. Pertanto la Gita dice: “Proprio come il fuoco che brucia il combustibile lo riduce in cenere, così anche il fuoco dello jñana (conoscenza e illuminazione) brucia tutti i karma e li riduce in cenere.” Un santo o un saggio raggiunge questo livello di coscienza e quindi si libera dal karma. Il poeta e mistico Kabir dice: “Il santo è l’eroico guerriero che calpesta il dogma del karma e lo trascende”. Tulasidasa fa dire al Signore: “Quando l’anima si trova faccia a faccia con me, il suo karma di innumerevoli nascite viene distrutto.” Trovarsi faccia a faccia con Dio significa completa sintonia con il Sé, il che significa a sua volta completa auto-purificazione, che porta alla trascendenza del karma.

Così vediamo che la legge della trascendenza del karma è così significativa tanto quanto la Legge del Karma stessa. Lo Shivaismo del Kashmir sottolinea la legge della trascendenza del karma, perché la libertà dalla Legge del Karma implica la libertà dell’essere umano consapevole che la sua vera natura è la libertà (svatantrya). Lo Shivaismo del Kashmir sottolinea il potenziale di libertà dell’uomo. La Legge del Karma è il determinismo (niyati) e la trascendenza di questa legge è la libertà dal determinismo. Lo stato di realizzazione del Sé (la realizzazione di Shiva) è lo stato di trascendenza della Legge del Karma e quindi lo stato di libertà.



fonte: http://www.yogaweb.it/tantra/la-sofferenza-e-la-legge-del-karma/