mercoledì 2 giugno 2021

Infanzia infelice e destino umano

Che cosa hanno in comune uno stupratore, un masochista, un killer seriale, un suicida, un ansioso, un depresso, un alcolista, un tossicodipendente? Apparentemente niente. In realtà questi disturbi, sebbene molto diversi tra loro, hanno un unico, medesimo, comune denominatore: un’infanzia infelice. Infatti i disturbi della sfera psichica, dai più seri a quelli più comuni nonché quei sentimenti di cronica insoddisfazione, di sottile infelicità, e di generale inquietudine trovano tutti la stessa origine nelle relazioni primarie del bambino con i suoi caregivers. Ciò non stupisce affatto, sebbene siano in molti a ‘giurare’ di avere avuto un’infanzia serena e perfetta. Se vi capitasse di leggere la biografia di un personaggio storico o letterario o filosofico troverete ben poche notizie sulla sua infanzia che viene, in genere, riassunta con la più classica delle espressioni, come ‘felice e spensierata’. Certo, l’infanzia dovrebbe essere felice e spensierata, ma purtroppo è sempre più uno stereotipo.
Dicevo poc’anzi che ciò non stupisce poiché viviamo in una cultura ‘Adultocentrica’ nel senso che le istituzioni sociali sono incentrate sulle esigenze ed i bisogni dell’adulto, ignorando quelli dei bambini ‘tanto sono piccoli: cosa vuoi che capiscano’? Non si capisce perché vada rispettata la sensibilità degli adulti e, invece, ignorata la sensibilità del bambino come se quest’ultimo ne fosse del tutto privo.
Ma vi è ormai una mole di studi epidemiologici, di osservazioni cliniche ed empiriche che dimostrano quanto il bambino sia recettivo, sensibile e predisposto ai rapporti interpersonali sin dall’inizio della sua vita. Ma si tratta di conoscenze relegate in un ambito specialistico, come se non riguardassero ‘i nostri bambini’.
In alcuni casi, nei migliori dei casi, le persone sanno che i bambini hanno bisogno di affetto, di cure e sostegno allo sviluppo, ma si tratta di una conoscenza meramente razionale, tanto per essere ‘up to date’ ovvero al passo con i tempi. Costoro ‘predicano bene, ma razzolano male’ nel senso che non mostrano alcuna disponibilità all’ascolto empatico dei propri figli. Ma perché la nostra cultura continua pervicacemente a negare la natura distruttiva dei comportamenti maltrattanti ai danni del bambino il che implica abusi, trascuratezza emotiva ed affettiva.
In effetti vi sono forme sottili di maltrattamento che non sono né appariscenti né eclatanti ma che sono ripetute e col tempo si cumulano. Si tratta del trauma cumulativo evolutivo cui è esposto il bambino dalla figure che dovrebbero proteggerlo e che invece gli infliggono il trauma nell’indifferenza comune e condivisa. Gli effetti nel tempo di questo trauma cumulativo non sono meno carichi di conseguenze cliniche che sono sotto gli occhi di tutti. Si va da forme ansiose e depressive a disturbi di personalità complessi. Ciò che li accomuna è l’inadeguatezza dei genitori e la lor incapacità di amare, offrendo al bambino una “base sicura” da cui emerge, introiettata, la rappresentazione di sé, del mondo e degli altri. Ecco: l’ostacolo maggiore al disvelamento della verità dell’infanzia è proprio questo: Le figure maltrattanti sono coloro che dovrebbero assicurare protezione e conforto, i genitori. Il fatto che siano loro a traumatizzare il bambino è, malgrado le evidenze cliniche e sperimentali, tutt’oggi un tabù che farà delle piccole vittime i futuri carnefici.
Un’infanzia maltrattata genera, a volte, mostri, ma di sicuro genera infelicità e insoddisfazione. Lo scrivente vuole mettere in evidenza le sofferenze dei bambini e rendere manifeste le conseguenze dei maltrattamenti loro inferti sull’intera collettività. Di più. Le esperienze più traumatizzanti non scaturiscono dai disagi ambientali. L’evento più devastante, in quanto fonte primaria di conflitti, è la violenza dei genitori. La necessità di mantenere l’idealizzazione dei propri genitori è da sempre stata un potente deterrente per la comprensione degli eventi causali che originano l’infelicità e la sofferenza. Spesso il dolore connesso a quelle relazioni infelici non può essere elaborato perché sarebbe troppo intollerabile scoprire che i ‘buoni genitori’ sono stati, volenti o nolenti, gli artefici della propria insicurezza e sofferenza. E allora quel silenzio rende l’adulto, ex bambino maltrattato, una sorta di ‘bomba ad orologeria’. Infatti persone stimabilissime commettono i delitti più assurdi e ‘incomprensibili’. Ma ciò che si vuole sottolineare è che se adottiamo l’ottica del trauma evolutivo i ‘delitti’ commessi quanto i ‘sintomi’ psichici e somatici diventano, non solo comprensibili, ma possono costituire il punto di partenza per acquisire una maggiore consapevolezza di sé ed aprirci un mondo nuovo. Senza parlare dei benefici che tutta la collettività ne trarrebbe in termini di realizzazione, pace, condivisione. Non è affatto giusto che la mia ‘cecità’ debba ricadere sulle future generazioni e sulla collettività come atti di teppismo, terrorismo e quant’altro.
L’estensore del presente articolo non è uno ‘specialista’ ma da circa tre settennari di psicoterapia ha effettuato un’autentica discesa agli inferi di un passato dissociato e rimosso fatto di abbandoni ripetuti, di abusi fisici e sessuali, di menzogne spacciate per ‘amore’, dalle persone per cui avevo, come molti, un’autentica venerazione, di traumi relazionali evolutivi, più sottili, ma non meno disturbanti. Quei ‘microtraumi passano ‘inosservati’ anche perché condivisi dalla maggior parte degli adulti minano alla base la sicurezza e la felicità del bambino, dando vita a adulti insoddisfatti, infelici e ad una società autodistruttiva. Il tutto condito anche dall’avallo religioso: Gesù non è il figlio che il padre sacrifica per la nostra redenzione alla stessa stregua in cui il bambino è sacrificato dai suoi stessi genitori i quali si sentono ‘autorizzati’ da Dio stesso dal momento in cui quest’ultimo chiede ad Abramo, per saggiare la sua fede, di immolargli il proprio figlio Isacco? Un padre che immola il proprio figlio è un padre-sadico poiché si arroga il diritto di vita e di morte sul figlio, agnello da macello. Quale è la conseguenza di una simile ‘imposta’ più che ‘proposta religiosa’? E’ questa realtà che ci troviamo a vivere. Non dovremmo meravigliarci se tanti ‘santi’ si identificano con la vittima, il figlio di Dio, nel versante masochistico oppure nel versante sadico nel momento in cui questo stesso santo ‘fustiga (santamente) il suo corpo’ per liberarlo dalla concupiscenza.
Eppure se comprendiamo che la sofferenza patita verrà replicata sui propri figli come oggetti disponibili e non come “soggetti d’amore”, se ne prendiamo consapevolezza attraverso la progressiva elaborazione del male che i nostri genitori ci hanno inflitto “per il nostro bene”, noi ci possiamo liberare dai sintomi psicopatologici vari e da schemi distruttivi ed autodistruttivi. Non ci sarebbe bisogno di ‘proiettare un paradiso e la felicità’ in un ‘mondo altro’ poiché avremmo finalmente compreso che il rispetto delle istanze del bambino è alla base di un’umanità più consapevole non più accecata da difese varie, prima fra tutte: l’idealizzazione dei propri genitori che ostacola il riconoscimento del Male che costoro ci hanno impunemente inflitto. Sembrano ormai maturi i tempi di sondare le cause primarie della sofferenza psicopatologica, senza voler trovare ‘rimedi’ inutili, fermandosi agli ‘effetti’ che queste sofferenze, nutrite del silenzio collettivo, producono sul singolo individuo e sulla collettività di cui è parte. Come già detto sono proprio i traumi ripetuti e sottili che godono della condivisione generale che danno vita a sofferenze, problemi psicologici ed infelicità. A tal fine una strofa di una poesia di Emily Dickinson sembra fare eco a quanto sostenuto in questo articolo “Non a colpi di clava, né di pietra si spezza il cuore; una frusta invisibile, sottile conobbi io, e staffilò la magica creatura fino a che cadde”
Probabilmente è questa sofferenza silente e sottile, per questo più subdola e perniciosa, l’origine della nostra infelicità e la ricerca ‘compulsiva’ di ‘rimedi’ personali non ultimo le dipendenze patologiche da sostanze e senza sostanze, come le dipendenze affettive, che riducono chi ne è affetto a vivere una vita ‘per procura’. questo il più grande ostacolo alla presa di coscienza della “qualità relazionale” delle nostre interazioni primarie e pregresse che informano e mediano le interazioni sociali dell’ hic et nunc: il dolore e il timore connesso alla indisponibilità ed inadeguatezza dei nostri genitori. Diciamolo pure: scoprirsi non amati fa male poiché mette in crisi il normale narcisismo del bambino. Tuttavia, vi invito a fare questo percorso poiché sperimento il benessere e la gioia di vivere che dovrebbe essere appannaggio di ogni uomo. Come ha scritto K.Gibran “Quanto più vi scava il dolore, maggiore sarà la gioia che potrete contenere”. Le stesse difficoltà di modulazione delle emozioni di cui gli ’eccessivi’ scatti di collera, l’odio incomprensibile e la distruttività ne sono la dimostrazione, nascono dalla perdita dell’empatia di cui un recente saggio di B. Choen ci illustra le basi neurofisiologiche compromesse durante l’infanzia dai ‘sottili’ episodi traumatici ripetuti.
Sembra che i media si occupino di ‘cronaca nera’ allo scopo di soddisfare ‘desideri inconfessabili’, mentre le ‘tavole rotonde degli esperti del settore’ avanzano astruse ipotesi sulla genesi del male. Mai ho sentito parlare di maltrattamenti infantili come fattore causale di comportamenti violenti in età adulta.
Perché questa ostinata cecità? La Miller, nei suoi bellissimi saggi, metteva l’accento sul bisogno di preservare l’idealizzazione dei propri genitori e della propria infanzia perché scoprire di non essere stati il centro dell’attenzione affettiva dei propri genitori è carico di dolore cocente e intollerabile.
Eppure, questa profonda perdita e dolore possono, col tempo, essere elaborate e restituirci alla integrità psicofisica originaria, alla gioia di vivere del bambino troppo precocemente sacrificata. Senza contare l’incalcolabile beneficio di un’umanità più consapevole e naturalmente empatica, ormai liberata dai sentimenti di odio e di distruttività. La mia non è utopia né un miraggio. E’ frutto di un’esperienza di cambiamento che ha richiesto, sì, quattro lustri, ma adesso mi ha restituito a me stesso.
Non abbiate paura di riprovare l’antico dolore poiché “quanto più il dolore vi avrà scavati, tanta più gioia potrete contenere”(Gibran, Il profeta)
Concludo menzionando una frase di Einstein che fa proprio al caso nostro:
“ il mondo non è in pericolo perché ci sono persone che fanno del male, ma perché ci sono persone che lasciano fare”.

Fonte: link

Nessun commento:

Posta un commento