sabato 12 ottobre 2019

Basho, Goethe, Tennyson

Per introdurre il lettore alla comprensione della differenza tra le modalità esistenziali dell'avere e dell'essere, mi sia lecito servirmi, a scopo illustrativo, di due composizioni poetiche di contenuto affine, citate dal defunto D.T.Suzuki in Lectures on Zen Buddhism. Una è uno haiku o haikai di un poeta giapponese, Basho, vissuto tra il 1644 e il 1694; l'altra composizione è di un poeta inglese del XIX secolo, Tennyson. Ognuno dei due autori descrive un'esperienza affine: la sua reazione alla vista di un fiore in cui si imbatte durante una passeggiata. I versi di Tennyson suonano:

Flower in a crannied wall,
I pluck you out of the crannies,

I hold you here, root and all, in my hand,
Little flower - but if I could understand
What you are, root and all, and all in all
I should know what God and man is

Tradotto in inglese, lo haiku di Basho suona all'incirca così:

When I look carefully
I see the nazuna blooming
By the hedge!

La differenza è enorme. La reazione di Tennyson alla vista del fiore consiste nel desiderio di averlo, e infatti lo "strappa" e lo tiene in mano "radici e tutto". E, se è vero che Tennyson conclude i suoi versi con la riflessione intellettualistica della possibile funzione del fiore al servizio della sua comprensione della natura di Dio e dell'uomo, è altrettanto vero che il fiore resta ucciso a causa dell'interesse che per esso nutre il poeta. Come risulta dalla sua composizione, Tennyson può venire paragonato allo scienziato occidentale che cerca la verità col metodo consistente nel disgregare la vita.
Di tutt'altro genere è la reazione di Basho al fiore. Egli non desidera coglierlo, anzi neppure lo tocca. Si limita a "guardarlo attentamente" per "vederlo". Ecco ora le spiegazioni fornite da Suzuki:

E' probabile che Basho stesse passeggiando lungo una strada di campagna quando scorse, accanto a una siepe, qualcosa di poco appariscente. Avvicinatosi, osservò attentamente quel che aveva scorto e constatò che si trattava di una pianticella selvatica, alquanto insignificante e di norma neppure notata dai passanti. Quello descritto nella composizione poetica è dunque un banale evento, e un sentimento poetico specifico trova espressione forse soltanto nelle ultime due sillabe, che in giapponese si dicono kana. Si tratta di una particella, che spesso si trova connessa a un sostantivo, aggettivo o avverbio, e che designa un certo sentimento di ammirazione, approvazione, dolore o gioia, e che a volte può essere appropriatamente tradotta in inglese con un punto esclamativo, che nello haiku in questione costituisce appunto il culmine dell'intero ultimo verso.

A quanto sembra, Tennyson ha bisogno di possedere il fiore per comprendere i suoi siili e la natura, ma il fatto di averlo comporta, come s'è detto, la distruzione del fiore stesso. Ciò cui Basho aspira è vedere e non soltanto guardre il fiore: essere tutt'uno con esso, "identificarsi" col fiore e lasciarlo vivere. La differenza che corre tra Tennyson e Basho trova piena espressione in questa composizione poetica di Goethe:

GEFUNDEN

Ich ging im Walde
So für mich hin,
Und nichts zu suchen,
Das war mein Sinn.

Im Schatten sah ich
Ein Blümchen stehn,
Wie Sterne leuchtend,
Wie Äuglein schön.

Ich wollt es brechen,
Da sagt es fein:
Soll ich zum Welken
Gebrochen sein?

Ich grub's mit allen
Den Würzlein aus.
Zum Garten trug ich's
Am hübschen Haus.

Und pflanzt es wieder
Am stillen Ort;
Nun zweigt es immer
Und blüht so fort.


Goethe, passeggiando senza meta precisa, è attratto dal piccolo fiore splendente. Confessa di aver provato lo stesso impulso di Tennyson, quello di svellerlo. Ma, a differenza del poeta inglese, Goethe si rende conto che ciò significherebbe uccidere il fiore, e ai suoi occhi questo è talmente vivo, che sente il bisogno di rivolgergli la parola e ammonirlo; e risolve il problema in maniera diversa sia da Tennyson sia da Basho: coglie il fiore "con tutte le sue radici" e lo trapianta in modo che la sua vita non vada distrutta. Goethe si colloca, per così dire, a metà strada tra Tennyson e Basho: per lui, quando s'arriva al dunque, la forza della vita è più possente che la forza della semplice curiosità intellettuale. Inutile aggiungere che, in questa splendida composizione poetica, Goethe esprime il nucleo stesso della sua concezione di studio natura.


- E. Fromm, "Avere o essere?", pagg. 28-31

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