venerdì 11 ottobre 2019

16. La Voce

La mia culla stava appoggiata alla biblioteca, cupa Babele in cui romanzo, scienza, favola, tutto, cenere latina e polvere greca, si mischiava. Io ero alto come un in-folio. Due voci mi parlavano. L'una, ferma e insidiosa, diceva: "La terra è un dolce pieno di sapore; io posso (e allora il tuo piacere non avrebbe fine) darti un appetito altrettanto grande." E l'altra: "Vieni, oh, vieni a viaggiare nei sogni, al di là del possibile, al di là del conosciuto". E questa cantava come il vento delle spiagge, fantasma, chissà di dove venuto, che vagando carezzava e insieme atterriva l'orecchio. Ti risposi: "Oh sì, dolce voce!". E' da allora che data, ahimè, quella che si può definire la mia piaga e la mia fatalità. Dietro le scene dell'immensa vita, nel più scuro dell'abisso, vedo chiaramente dei mondi strani e, vittima della mia estatica chiaroveggenza, mi trascino dietro dei serpenti che mi mordono le scarpe. E' da allora che, come i profeti, teneramente amo il deserto ed il mare; che rido nei lutti e piango nelle feste, trovando un gusto soave nel vino più amaro; che, spesso, prendo i fatti per finzioni e, gli occhi al cielo, finisco nelle buche. Ma la Voce, per consolarmi mi dice: "Tieniti i tuoi sogni; i saggi non ne hanno di più belli dei pazzi".

- Baudelaire, "Les fleurs du mal" p. 309 (Garzanti editore)

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